In occasione della Festa del Papà

LA FIGURA PATERNA TRA MITO E REALTÀ - STUDIO GRAFOLOGICO
di  Angela Mele

 

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La tua paternità è soprattutto una trasmissione d’insegnamenti,
un magistero, una forma di educazione più raffinata
del puro allevamento affidato alla Madre….”
(Alberto Savinio a suo padre)

Mentre nella letteratura psicologica, psicanalitica, sociale la maggior parte degli studi ha dedicato rilevanza alla figura della Madre, non altrettanto si può dire del Padre, considerato una figura secondaria nella triade familiare. Esiguo anche il materiale grafologico: invitiamo quindi a considerare il presente articolo, dati i limiti imposti dalla scarsità della bibliografia  grafologica, una semplice riflessione sulla figura paterna,  che trova il suo significato più profondo nel simbolo - imperituro -  al di là delle  trasformazioni sociali  in atto soprattutto negli ultimi anni.

Nel “Dizionario dei Simboli”  la figura paterna viene così descritta:    
“Simbolo del possesso, del dominio, del valore. In questo senso è una figura inibitoria e castratrice in termini psicanalitici. È una raffigurazione dell’autorità: capo, padrone, professore, protettore, dio. Rappresenta la coscienza che dirige le pulsioni, è il mondo dell’autorità tradizionale di fronte alle nuove forze del cambiamento. Il padre figura nella simbologia più come datore di leggi che come corrispettivo della madre. È produttore d’istituzioni; come il signore e il cielo è un’immagine della trascendenza ordinata, saggia e giusta. La sua influenza può allora apparentarsi a quella dell’attrazione dell’eroe o dell’ideale. L’aspetto positivo è quello del padre simbolo dello spirito che illumina, della potenza che crea e rassicura”. 

IL SIMBOLO PATERNO

Nonostante l’immanenza del simbolo stratificato nell’inconscio collettivo e personale, la figura del Padre, modellata e rimodellata attraverso le varie culture e in linea con l’evoluzione dei tempi, conserva tuttora contorni vaghi. Sono frequenti gli interrogativi in tal senso: amore paterno derivato dalla natura o dalla cultura? Disposizione biologica o psicologica? Secondo la maggior parte degli studi antropologici e scientifici, pare che l’amore paterno non derivi da una predisposizione innata ad amare i nati da sé, come sembra invece essere prerogativa naturale nelle madri.  La paternità - o meglio il sentimento paterno che lega il maschio ai propri figli - sembra rappresentare una forma indotta d’amore, mentre la struttura archetipica dell’amore materno, cristallizzato nei grandi Archetipi della Grande Madre e, nella cristianità della Madonna, rimane imperitura  e, anche se alcuni parametri materni stanno lentamente cambiando, le prerogative che appartengono alle madri vengono descritte da questi aggettivi: amorevole, pietosa, accogliente, capace di perdono e di sacrificio.

Mentre la legge dell’amore spetta alla madre, la legge del padre si va trasformando secondo modelli culturali maggiormente soggetti a variazioni da società a società, da epoca a epoca, tanto che ogni cultura ha elaborato un’immagine diversa del padre. Si è verificata quindi una varietà di modelli paterni e si va diffondendo un modello di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia, tanto che il  padre viene coinvolto nell’assistenza al parto, istruito alle cure del neonato mentre   recenti normative prevedono il congedo di  paternità, vale a dire licenza di alcuni giorni di assenza dal lavoro da dedicare alla condivisione con la madre nella cura del neonato.  
Ne consegue che, anche se il padre nelle passate generazioni resta ancora legato alla figura tradizionale, le manifestazioni di “padre materno” sono sempre più frequenti tanto da fargli assumere compiti che tradizionalmente erano di assoluto appannaggio materno.
Ben venga allora questo nuovo padre la cui partecipazione alla vita del figlio deve avvenire il più presto possibile, per colmare il vuoto della simbiosi con il figlio non avvenuta come per la madre  durante la gestazione, ma inizia dal momento in cui il figlio diventa una presenza fisica.

 

FIGURE DI PADRI

 

Padri archetipici e tradizionali quindi e Padri in trasformazione: una scissione che non permette di attribuire  al padre una connotazione precisa: troppo variabili i movimenti culturali-sociali che sono intervenuti e ne  hanno modificato il ruolo e molte le derivazioni personali;  resta il fatto che  gli studi in merito riferiscono che il sentirsi padre è da sempre stato un fattore secondario rispetto al sentirsi uomo, cosa che non avviene in modo altrettanto nettamente nella madre. Generare, per l’uomo,  significa soprattutto imprimere il marchio della propria virilità tramandando nome e stirpe. La cura del piccolo dell’uomo  è stata per tradizione sempre affidata alla madre e, anche se oggi si assiste ad un maggiore coinvolgimento del padre, il suo ruolo è spesso ancora ritenuto secondario rispetto a quello della madre, tanto che nelle separazioni i figli per consuetudine vengono affidati alla madre.  Per non sentirsi emarginato e per vivere in pienezza la sua funzione e sviluppare  il suo amore, è importante quindi che il padre partecipi alla nascita e all’allevamento di suo figlio, seguendo  quella linea d’unione che parte dall’atto della fecondazione alla nascita.

 

PADRI E FIGLI

 

Il figlio tuttavia si aspetta dal padre un atteggiamento diverso da quello desiderato dalla madre: forza, autorevolezza, insegnamenti e comportamenti coerenti, atti a infondergli sicurezza. L’approvazione della madre rientra nel codice materno, è naturale, è un atto d’amore dovuto, l’approvazione del padre è invece un atto di stima da conquistare. Il figlio ha bisogno di credere in lui, di ammirarlo, non gli perdona la debolezza, lo vuole vincente non sottomesso o umiliato. Emblematico l’episodio del padre di Freud  a cui un uomo che incrocia sul marciapiedi getta il cappello nel fango gridandogli “giù dal marciapiedi, ebreo!”. Al racconto del padre, Sigmund è ansioso di sentire l’unica risposta confacente al ruolo del padre: “e tu cos’hai fatto?” gli chiede.  Con calma il padre risponde “sono sceso dal marciapiedi e ho raccolto il cappello”. La mancanza di coraggio da parte del padre sembra aver segnato la vita di Freud.

In fondo ognuno di noi deve fare i conti con il padre ideale e con il proprio padre...

 

ALCUNI SIMBOLI PATERNI

 

Sappiamo che i rinnovamenti sociali restano in superficie mentre gli Archetipi resistono ai tempi, alle culture, alla civiltà. Afferma Luigi Zoja, psicanalista Junghiano, autore del “Gesto di Ettore” “Il padre raggiunge una grandezza culturale nei miti delle origini, nella memoria che resiste nella profondità della psiche, anche quando può sembrare vanificata dai cambiamenti culturali.  L’analisi dei grandi simboli collettivi scopre antecedenti molto antichi e la storia psichica profonda dovrebbe valere per il padre come per la madre. Il declino del Padre era già cominciato quando la Rivoluzione francese tagliava la testa al Re, il rappresentante del Padre sul trono e, in nome della nuova società dei fratelli, lo sostituiva col principio di fraternité. Era già cominciato quando alla parola del Padre, che monopolizza il Vecchio Testamento, si affianca quella del Figlio, introdotta dal Nuovo. Sostenere che il ruolo del Padre entra in crisi con l’avvento del Femminismo è scambiare le conseguenze con le cause. L’inconscio non elimina in pochi anni ciò che si è sedimentato per secoli”.

Dopo questi autorevoli concetti, per potere meglio muoversi negli spazi occupati dalle figure dei padri e tratteggiare un, sia pur incompleto, studio grafologico sul  ruolo paterno, ho tratto alcuni riferimenti da  figure simboliche paterne viste  nella loro Ombra e nella loro Luce, trattate nelle opere di  Omero e di Shakespeare  in particolare:  

Padri da Omero

  • Ulisse e la sua Ombra (la latitanza e il ritorno del padre)
  • Ettore (la forza e la tenerezza del padre)

Padri da Shakespeare

  • Giulio Cesare e Bruto (l’uccisione del padre) 
  • Re Lear (la decadenza del padre)

 

DA OMERO - L’ODISSEA: IL PADRE ULISSE

 

Assenza e nostalgia del ritorno

L’immagine del padre in Occidente è fondata sul mito greco… Nella Grecia Antica i valori a cui la società faceva riferimento erano contenuti nel mito. Omero lascia un’impronta paterna decisiva nella nostra mente inconscia”. (L. Zoja).

 

Ulisse, modello straordinario in un’epoca in cui l’ideale prevalente era segnato dall’eroismo brutale e sanguinario (Agamennone, Achille). Padre assente e marito infedele, lontano, errante, in fondo puer, ma anche senex consigliere e saggio.

Ulisse è un padre ambivalente: ha bisogno sia di scoperta che di sicurezza e, se da una parte abbandona la famiglia per rincorrere i suoi richiami, dall’altra anela ardentemente il ritorno alla sua terra e all’abbraccio dei suoi cari.   
Il mito di Ulisse si può quindi leggere sia dal lato “Ombra” che dal lato “Luce”. Durante la sua lontananza, benché attratto da mille lusinghe, sente il costante desiderio di ritornare alla sua isola dove ha lasciato le sue memorie e i suoi affetti.  Conosce ansie, dolori e fatiche, ma è vincitore sulle forze che potrebbero indurlo a dimenticare. Il figlio Telemaco cresce lontano da lui, ma conserva un modello di padre forte e, a suo modo, amorevole. Sente la mancanza del contatto reale con il padre e afferma che è difficile crescere senza un padre vicino, ma non ne porta conseguenze distruttive. A vent’anni, stimolato dalla saggia Atena, parte per cercarlo, ma non sarà lui a trovarlo. E’ Ulisse a ritornare e a farsi riconoscere.  L’assenza paterna non ha inciso negativamente sulla formazione del figlio.

Purtroppo non è così per tutti i figli: alcuni, soprattutto da piccoli, addossano su loro stessi la responsabilità dell’assenza paterna, pensando che la colpa dell’abbandono sia loro: “se mio padre se n’è andato la colpa è mia, perché sono cattivo, perché ho pensato che era meglio non ritornasse” (sappiamo che il pensiero per il bambino ha valenza magica e ha il potere di far avverare ciò che passa solo nella sua mente).

 

La latitanza  del padre – L’Ombra di Ulisse

 

L’assenza paterna non è stata esaustivamente trattata scientificamente anche perché le cause dell’allontanamento sono molteplici, alcune forzate (guerra, prigione), altre volontarie.
Quando si verifica una latitanza paterna volontaria e una abdicazione al  ruolo, è facile che il padre attui una fuga ritirandosi in un individualismo egocentrico,  assolutamente privo di ogni senso di responsabilità. Quando si affaccia il desiderio del ritorno, la paura di affrontare a viso aperto le ragioni della sua defezione fa sì che per lui sia più comoda la latitanza che il ritorno e la conseguente presa di coscienza delle sue colpe, allora questi atteggiamenti si prolungano e stratificano  per non dover affrontare le conseguenze del suo gesto. Gli alibi sono reiterati: è tardi, è inutile, quello che è fatto è fatto...

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Scritture A- B
Il padre Ulisse/Ombra appartiene ad un capitano marittimo di lungo corso, che ha collezionato alcune mogli e alcuni figli in giro per il mondo, in una vita fatta di viaggi, avventure, abbandoni,  colpe, brevi ritorni e fughe. Dopo l’abbandono dei primi figli in Italia, ha più volte cercato di ricostruirsi una famiglia con altre mogli e altri figli all’estero, sentendo profondamente il bisogno di piantare radici e forse nel tentativo, ogni volta, di riscattare i precedenti abbandoni e lenire così i suoi intimi e inconfessati sensi di colpa. Bisogno di avventura e bisogno di sicurezza quindi come Ulisse ma, al contrario di Ulisse, con l’incapacità di custodire al suo interno un’ancora di memoria e di ritorno.

Osserviamo la sua scrittura all’età di 26 anni – A   e quella dei 65 anni  - B.
Non sono cambiate molto: la forma è sempre costruita: lo script di prima (non in uso negli anni 60, datazione del primo documento) e lo stampatello di oggi non differiscono sostanzialmente: denunciano il bisogno di distinguersi e, nello stesso tempo, rappresentano una maschera.
Tratto macchiato e spasmodico, zona media schiacciata, affermazione velleitaria (verticali deboli e mazze violente) nella scrittura A, forma confusa e gracilità accentuata del tratto nel documento B.

E’ interessante osservare le scritture dei figli.

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Scritture dei figli  A – B  ↑
Tutti e due i documenti (il primo in tono scherzoso)  sono stati scritti all’età di 14 anni, in epoche diverse (nel 76 la prima, nel 2002 la seconda)
La scrittura A appartiene al primo figlio, nato nel 1962 in Italia con la prima moglie, ambedue ben presto abbandonati. L’identificazione con il padre non è avvenuta (profondo tema edipico) e la scrittura registra una forte conflittualità e senso di inconfort interiore (tiraillée, mescolanza di angoli e curve, lettere affettive schiacciate e ammaccate).

La scrittura B appartiene ad un figlio della stessa età, nato in Africa nell’88 da una madre di colore.
Paesi diversi, madri di razza diversa, padre di età diversa, educazioni diverse, costumi diversi, eppure le scritture sono straordinariamente simili nei loro elementi costitutivi: un po’ più infantile la scrittura B (scritta su foglio di quaderno a righe), ma stesso tratto, stessi canali spaziali, stessi tiraillements, stessi gesti fetali, stessa continuità e  stesse forme di legamento.

Osservare i due “Ciao” molto simili tra loro

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Che cosa pensare quindi? Che i cromosomi e l’ereditarietà  trionfino sull’influenza dell’ambiente, sull’educazione, sulle abitudini,  sul contesto sociale?

 

L’UCCISIONE DEL PADRE 

(Giulio Cesare e Bruto)

 

Il potere, l’ammmirazione, l’amore, l’invidia

Il padre rappresenta simbolicamente l’ideale a cui il figlio aspira a  identificarsi. Per la psicanalisi, questo desiderio passa attraverso la via della soppressione del padre esterno (Edipo), verso l’identificazione al padre interno.  Tale meccanismo  comporta il doppio movimento di morte (Lui) e di rinascita (Io). Ma si può uccidere il padre in vari modi, senza rinascita, senza salvare se stessi, come la storia ci ha tramandato: Bruto si uccide dopo aver pugnalato Cesare – figura emblematica di padre - e, nel Giulio Cesare di Shakespeare, quando si getta sulla spada di Stratone, mormora. “Cesare, ora riposa in pace. Io non ti uccisi per metà così volentieri”. Con queste parole esprime il suo dolore nell’aver ucciso il padre, travolto da eventi più forti di lui. La figura di Bruto infatti è malinconica e conflittuale, come egli stesso confessa: “sono in guerra con me stesso, sono turbato da passioni in conflitto che offuscano la mia condotta...il mio cuore soffre che la virtù non possa vivere senza il morso dell’invidia”.

Grafologicamente siamo di fronte alla scrittura di un padre imponente e prestigioso (scrittura fallica, firma enorme situata al centro del foglio),  autorevole e autoritario (barre della “t” sovrastanti, importanti sopraelevazioni, verticali perentorie) e nello stesso tempo protettivo.  Nella scrittura non mancano segni di apertura (merlature) che non escludono un rapporto paterno incombente ma accogliente.

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La scrittura del figlio a 25 anni


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 La scrittura rivela debolezza, instabilità e immaturità. Presenta una mollezza generale, rovesciamenti e tiraillements, ammaccamenti, componenti infantili su un tema di oralità passiva che non esclude alcune punte aggressive nelle finali a mazza e nell’angolosità di alcune ghirlande.
Probabilmente l’ammirazione per il padre è stata forte e sincera, ma altrettanto forte è stato il senso di sconfitta personale che spesso si accompagna all’invidia. E, come Bruto, il figlio uccide il padre, di dolore in questo caso, uccidendo  anche se stesso. Si tratta di un ragazzo tossicodipendente che il padre non ha mai abbandonato, ma la cui vicenda disperata ha causato sia la morte del figlio che  la morte del padre, forse voluta, travolto da una macchina in corsa, a cui – volendo – poteva sottrarsi.

 

IL PADRE RE LEAR

La vecchiaia e l’ingratitudine filiale

 

Quando il padre, figura che il figlio vorrebbe sempre forte e incrollabile, è colpito dalla decadenza senile e dalla perdita del prestigio, può sopravvenire il disprezzo del figlio stesso, che non riconosce più nella figura umiliata l’immagine paterna idealizzata.

La tragedia del Re Lear rappresenta in tutta la sua tristezza l’agonia di un vecchio che si spoglia di tutto per amore delle sue figlie, da cui viene disprezzato e  oltraggiato fino a morirne per il dolore.

PADRE a 93 anni

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Assistiamo al decadimento delle forze: il tracciato vacilla, porta tremolii, ritocchi, riprese, tratto malfermo.
Questo padre ha adorato la figlia, unica, che ha circondato di ogni cura e amore, soddisfacendo tutti i suoi capricci (famiglia molto agiata) e donandole tutto ciò che possedeva: ville, denaro, regali, donazioni e, in vecchiaia, spogliandosi persino della sua propria abitazione.
La figlia – e non ci stupirà vedendo la sua scrittura – ha cercato di far interdire il padre accusandolo di demenza e, per timore che questi  potesse vendere qualche oggetto prezioso gli ha sottratto ogni oggetto di valore dalla casa. Triste e infamante l’azione di un figlio verso il padre.

Vediamo la scrittura della figlia: angolosa, rigida, con uncini e acuminazioni, tratto duro privo di modulazioni e sensibilità. Su tutto, una forte rivendicazioni fallica forse proiettata sul padre. Un caso amaro, non tanto infrequente purtroppo, che Shakespeare ha magistralmente descritto fino a farne una figura archetipica di vecchio padre nel suo Re Lear.

FIGLIA a 60 anni

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Il PADRE ETTORE

Principio di eroismo, di responsabilità e d’amore

A volte l’uomo teme di perdere la sua identità maschile abbandonandosi a gesti di tenerezza “femminile”, ma nel mito greco emerge  una figura paterna di grande umanità che unisce forza e tenerezza, la cui dolcezza non intacca il codice  di virilità.

Nel libro VI dell’Iliade Ettore si congeda dalla sposa prima di tornare in battaglia.Vuole abbracciare il figlio, ma quando gli si avvicina, il piccolo Astianatte scoppia in lacrime, spaventato. Ettore è sorpreso, poi capisce: è l’armatura che indossa a spaventare il bambino. Solo quando depone l’elmo il bambino si rassicura e si lascerà prendere tra le braccia. L’armatura di Ettore, indossata e poi deposta, simboleggia il ruolo del padre nei suoi aspetti di forza e di sentimento: forte e giusto per combattere e per difendere, ma nello stesso tempo tenero e sincero per aprirsi ai sentimenti senza difese (elmo e corazza deposti di fronte al bambino in lacrime). Ettore solleva il bambino in un gesto di elevazione, gesto anch’esso simbolico, che contraddistingue l’espressione dell’amore  paterno da quello materno: la madre stringe al petto,  accoglie e consola, il padre innalza in alto verso l’ideale.  

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Uomo di 73 anni, giurista di fama. Scrittura Sentimento, grande, inclinata, in ghirlanda, di uomo “Anima”, padre che sa donare protezione e affetto, la cui interiorità è riscaldata da sentimenti altruistici e generosi,. Tuttavia non siamo di fronte ad una personalità debole, tutt’altro! Il tracciato fluido e mosso, l’appoggio e la sicurezza nella tenuta del rigo, la continuità assidua, l’incisività delle barre della t, testimoniano una personalità sicura, in grado di condurre le proprie scelte con realismo e coerenza ma ai cui valori di  forza e di resistenza  non sono disgiunti da quelli affettivi dell’animo. Un Padre Ettore che, con i suoi cari, sa deporre l’armatura e donare la generosità dei suoi sentimenti.


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La scrittura del figlio a ventinove anni. Scrittura anch’essa Sentimento (grande, distesa, inclinata, in ghirlanda), sotto certi aspetti simile a quella del padre, ma meno incisiva, meno sicura. L’amore ricevuto è stato recepito ed egli stesso è capace di donare dedizione ed affetto. La sua difficoltà può risiedere forse nel fatto che il grande affetto protettivo ricevuto dal padre possa ostacolare in qualche modo la sua affermazione. Un leggero senso d’inferiorità (schiacciamenti in zona media) può far pensare che l’identificazione al padre non sia stata indenne da una certa ansia (riprese), ma è ragionevole pensare che il padre sia stato in grado di non opprimere la formazione del ragazzo in evoluzione.

 

LA COUVADE

Chiudo questa breve panoramica su alcune figure paterne con la citazione di un rito dal valore fortemente simbolico, in cui il padre è chiamato a partecipare fisicamente e affettivamente all’evento di cui è stato il creatore e che la donna ha portato a compimento.
Si tratta del rito della covata in cui il padre prende il posto della madre dopo che questa ha partorito ricevendo  egli stesso gli omaggi  e le felicitazioni destinate alla madre:  il padre si mette a letto al posto della madre tenendo  il bambino amorevolmente accanto a  sé.

La couvade era in uso presso popoli barbari dell’antichità e presso gli Indiani d’America, ma è ancora praticata in alcuni Paesi Baschi, Olanda, Francia e Groenlandia (mito della covata). Per estensione si usa tale termine in psichiatria (sindrome della covata) per descrivere le manifestazioni allucinatorie che possono sopravvenire negli uomini durante la gravidanza della moglie, il parto e il puerperio  (transfert).

Nella sua forma rituale rimanda  un significato profondo che rende  il padre protagonista, in stretto contatto fisico con il figlio appena nato. Si realizza così un vero e proprio un trasfert in cui il padre si lamenta come risentisse dei dolori del parto,  stringe il figlio a sé con tenerezza  quasi a volerlo incorporare, sancendo così un forte legame di vicinanza e di  intimità.

Senza arrivare a questi estremi – per la nostra cultura difficili da immaginare – è indubbio che la nascita di un figlio è un evento che impegna ambedue le persone che hanno messo al mondo una nuova vita,  che deve essere affidata alle loro cure reciproche. Una maggiore vicinanza padre-figlio fin dal sorgere della vita è fondamentale per la futura crescita, e non solo per quella del bambino!

 

BIBLIOGRAFIA

 

L. Zoja                          Il gesto di Ettore                                      Bollati  Boringhieri  2001

AA. vari                       Le père -  La couvade - (André Haynal)        Georg Ed . 1995

J. Chevalier- A. Gheerbrant  “Dizionari dei Simboli”                          BUR 1999


  J. Chevalier – A. Gheerbrant,  Dizionario dei Simboli  - BUR 1990

L. Zoja,  Il gesto di Ettore, Bollati  Boringhieri  2001

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