DEPRESSIONE, MESSAGGIO DELL’ANIMA COME LEGGERLO NELLA SCRITTURA?


di Angela Mele

Per aderire alla richiesta di alcuni lettori, in questo numero riproponiamo la prima parte - ampliata e confermata da successive testimonianze da parte dei casi presentati - di uno studio sulla depressione apparso sul numero 0 del settembre 1996, studio che ha raccolto attestati di apprezzamento anche da parte di alcuni insigni psichiatri, tra cui i professori Eugenio Borgna e Giannetto Cerquetelli, di cui riportiamo stralci di loro lettere:

“Novara, novembre 1998......... Quello che lei scrive sulla depressione, e sulle sue diverse forme, corrisponde sostanzialmente a quello che sono venuto scrivendo in questi anni; ed è cosa che non può non indurmi a ringraziarla anche di queste analogie di discorso………”

“Roma, 14/10/1996.............Ho letto con molto interesse il suo lavoro sulla depressione. L’ho trovato molto interessante e mi congratulo con lei.........”

Sul prossimo numero della rivista appariranno ulteriori testimonianze grafologiche, alcune già pubblicate altre raccolte successivamente.

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INDICE
prima parte ……….

Trattare un tema di così vasta portata come la depressione, che impegna psichiatri, psicologi, psicoanalisti, sociologi e così diffusa nel mondo moderno, richiederebbe spazi ben più estesi.
Tuttavia, poiché l’argomento specifico non è tanto quello clinico quanto quello grafologico, cercherò di gettare un flash, certamente non esaustivo, sull’aiuto che può dare la grafologia per avvicinarsi alla dinamica degli stati depressivi.

Depressioni endogene, reattive, stati maniaco - depressivi si traducono in alcune alterazioni del grafismo che attentano soprattutto le sue parti costitutive (notoriamente tratto, ritmo, forma, movimento, spazio) e che costituiscono un codice di lettura denso di significati profondi. E, anche se sarà assolutamente arbitrario formulare una diagnosi di depressione soltanto attraverso l’analisi della scrittura, tuttavia questa potrà costituire un ulteriore momento di studio, un mezzo ausiliario di indagine da abbinare ad altri test, al colloquio, all’anamnesi, agli esami di laboratorio. La consulenza del grafologo, se da una parte corre il rischio di essere azzardata in campo diagnostico, si dimostra invece più adatta in campo prognostico, sempre ovviamente all’interno di un’équipe di clinici. Compiendo infatti un confronto tra i vari documenti prodotti prima e durante le manifestazioni depressive, attraverso l’apprezzamento di alcuni segni sia di sofferenza che di recupero della scrittura, il grafologo potrà trovare nelle varie scritture alcuni segni rivelatori che possono indurre a formulare ipotesi attendibili sull’iter e prognosi della malattia .

In questo studio è mio intendimento osservare la depressione come “male spirituale legato con la profondità della natura umana” (Jung - L’uomo e i suoi simboli), più che come fatto psichiatrico, poiché lo stato depressivo rappresenta un evento della propria interiorità troppo inconsolabile perché possa essere affidato alle sole cure farmacologiche. Nessun'altra psicopatologia esprime, come la depressione, la sofferenza della persona nella sua globalità e la sua cura profonda quindi non può limitarsi a sedare il male in sé, ma deve arrivare a guarire la persona dal suo male interiore. Come affferma lo stesso Jung, “ la depressione è la rappresentazione di qualcosa che l’inconscio cerca di manifestare, la traduzione simbolica di un conflitto psicologico, qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio immediato”.

Simbolica della depressione

Senza entrare nella sottigliezza delle distinzioni psicanalitiche tra segno, sintomo e simbolo, il quadro depressivo si caratterizza attraverso questi tre aspetti: porta in sé la tangibilità del segno (la malattia); il compromesso del sintomo (la lotta tra la pulsione e la difesa); la rappresentazione del simbolo (la perdita di sé, il vuoto, simbolo di tutte le perdite, gli abbandoni, le morti che incontriamo dentro e fuori di noi).

Simbolica della scrittura

La scrittura non è solo segno impresso, ma simbolo inteso come rappresentazione di contenuti nascosti che non si concretizzano nel segno vero e proprio (la Forma), ma nella sua decifrazione simbolica (il bianco, il dialogo tra il nero del conscio e lo spazio dell’inconscio; l’energia pulsante del “ritmo”; il percorso sinistra-destra come analogia con lo scorrere del tempo; la traiettoria verticale che collega l’istinto alla mente - tutte raffigurazioni che non si esprimono in segni fissi, ma devono essere decodificati attraverso le loro evocazioni).
E è proprio attraverso l’analogia delle due simboliche, quella della depressione e quella della scrittura, che chiederemo alla seconda di rivelarci tutte le invocazioni e le grida di dolore che la depressione tace, e tutti i contenuti di speranza e di rinascita che il depresso ha smarrito, ma che la sua scrittura sa ancora esprimere.

Sintomatologia

Trattare la depressione senza parlare dell’infinito dolore che porta può sfalsare l’opinione che l’accezione comune è solita dare al termine. La depressione non è quello stato di malinconia più o meno struggente, più o meno passeggera di cui tutti più o meno abbiamo fatto esperienza e che ci viene spontaneo tradurre con le frasi: “oggi sono depresso, non mi va di fare niente, ecc”. La depressione patologica è ben diversa per l’intensità e la fissità del suo dolore, che è immenso, senza confini né lenimenti. È uno stato di disperazione e desolazione totale, in cui il soggetto non possiede più risorse per reagire. È il naufragio di ogni volontà, l’assenza di ogni desiderio, l’annientamento e il disprezzo di sé.
Ma la depressione non è solo malinconia, non è solo disprezzo, non è nemmeno solo disperazione: spesso è delirio, perdita di sé, di ogni contatto, persino con se stessi e con il proprio corpo. Il depresso giace nel letto deprivato di ogni energia, senza desideri, senza impulsi vitali, con una sola speranza: quella di cancellare se stesso e tutta la sua storia con la sua stessa morte. La depressione è malattia dello spirito che nasce dal di dentro, spesso senza cause apparenti, né adeguate, che irrompe nell’esistenza spezzandone i ritmi, oscurando le luci, raggelando gli impulsi, inchiodando alla sofferenza.
L’angoscia è annientante: i meccanismi difensivi crollano miseramente per lasciare posto ai fantasmi, terrificanti, fino ad allora rimossi e mai fronteggiati, della propria Ombra.
Il malato, consegnato a se stesso senza più difese, è sull’orlo dell’abisso del suo stesso inconscio, che lo risucchia, lasciandolo stremato. I deliri evocati sono di terrore, di colpa, di indegnità, di catastrofe, di malattia.
E il dolore e la morte diventano circuito chiuso, poli d’attrazione che invadono l’essere.

Tuttavia, malgrado questo quadro disperante e per quanto sia considerata la più crudele delle nevrosi - spesso al confine con la psicosi (Bergeret - Depressione e stati limite) - e rappresenti un grave rischio di suicidio (idea sempre presente nel quadro depressivo), la depressione non è considerata la più grave delle nevrosi.
Spesso si assiste alla guarigione spontanea, che si presenta come un vero miracolo: all’uscita dalla depressione avviene una vera rinascita, si assiste al trionfo della vita, della luce, delle forze. L’incontro con l’Ombra ed i suoi fantasmi ha permesso d’integrare, connettendoli alla coscienza, tutti i contenuti rimossi che, ora, possono tradursi in istanze di rinnovamento.
Come dice Winnicott: “ la depressione è il prezzo da pagare per raggiungere l’integrazione. Ha in sé il germe della guarigione”.

Alcune Teorie psicanalitiche (Freud, Abraham, Klein, Jung)
Genesi e psicodinamica

Un tema di grande valenza spirituale e psicoanalitica come la depressione non può essere trattato senza soffermarsi, sia pure in modo incompleto, sul pensiero dei primi studiosi che, con le loro scoperte e ipotesi, hanno gettato le basi, in seguito ampliate e articolate ma - anche se in alcuni casi in parte contestate - mai disconosciute da ogni ulteriore studio sulla depressione.

Gli studiosi che hanno trattato la depressione sono numerosi. Tra questi: Abraham, Freud, Klein, Jung, Rado, Winnicott, Reich, Hillman, Bergeret, Kohut, Deutsch e altri. Non ne potrò citare che alcuni, in particolare Freud, Abraham, Klein, al cui pensiero si ricollegano i successori o contemporanei. All’interno delle loro teorie, tutti gli studiosi sono concordi nel confermare il pensiero di Freud, il quale asseriva che ciò che distingue il dolore depressivo dagli altri dolori è il fatto che nel dolore depressivo esiste il disprezzo di sé, la perdita totale dell’autostima e un desiderio incontenibile di autodistruzione.

FREUD

Con i suoi primi studi (“Lutto e malinconia” del 1915 e “Al di là del principio del piacere” 1920), ha fissato le basi a cui hanno attinto altri autori.
In “Lutto e malinconia” Freud confronta le dinamiche del dolore nei due stati e asserisce che, mentre nel lutto l’oggetto perduto è esterno, nella malinconia il soggetto sostituisce all’oggetto perduto il proprio Io, cosicché egli non perde l’altro, ma se stesso. I sentimenti ambivalenti tipici di ogni stato affettivo (amore-odio; sottomissione-aggressività) si spogliano quindi di ogni connotazione positiva, assumono forti cariche distruttive e, ricadendo sull’Io stesso, diventano autodistruttivi. Le forti pulsioni distruttive (Thanatos) nella depressione sommergono l’Io, il quale, non potendo sopportarne la violenza, le trasferisce al Super-Io che, a sua volta, le tramuta in uno spietato senso di colpa che ricade sull’Io, annientandolo.
La depressione rappresenta quindi un atto di espiazione e riparazione, un tributo che l’Io deve pagare al Super-Io per lenire i sensi di colpa e far sì che questo perda le sue cariche distruttive. Solo a questo prezzo il Super-Io, appagato, depone le sue armi di carnefice.

ABRAHAM

È stato il primo studioso ad aver condotto un’esplorazione psicoanalitica della depressione in termini psicodinamici piuttosto che descrittivi (S. Arieti - Manuale di psichiatria).
Nel suo “Saggio sull’oralità” del 1924 egli ha spiegato il processo d’identificazione con l’oggetto perduto descritto da Freud come un vero e proprio “atto del divorare”, sostenendo quindi una predominanza di fattori orali nel depresso.

MELANIE KLEIN

A lei dobbiamo un alto contributo. Partendo dalle teorie di Abraham e Freud, ha trattato nella sua opera “la posizione depressiva” del neonato, esperienza universale presente fin dalla nascita in ognuno di noi. Il neonato prova potenti sentimenti ambivalenti verso i genitori (in particolare verso la madre, con la quale è in simbiosi, ossia in stato di indifferenziazione). Tali sentimenti di amore-odio, desiderio-dolore, uniti al senso di colpa, di esclusione e frustrazione, di perdita, gelosia e invidia, contrapponendosi, genererebbero nel neonato una forte angoscia depressiva che colpirebbe se stesso, essendo egli tutt’uno con la madre.
Chi ha tendenza alla depressione è di solito un individuo che ha temuto che il suo odio e la sua aggressività fossero più potenti del suo amore e che ciò rappresentasse una minaccia di perdita d’amore da parte della madre. Ciò ha causato un forte senso di colpa che, all’emergere della depressione, catapulterà verso se stesso, disprezzandosi e annientandosi. Ciò spiega alcune depressioni reattive in cui i sentimenti di colpa, sperimentati durante l’infanzia, si riattivano con veemenza di fronte ad ogni situazione di perdita, ritorcendosi contro di sé.

Non sono estranei in alcune depressioni, soprattutto di tipo ansioso, forti sentimenti di rabbia - che gli psicanalisti descrivono risalenti all’infanzia e diretti verso i genitori o un genitore - , che il depresso, non potendo esprimere direttamente, scarica verso se stesso in forma di autoaccusa, ritenendosi un essere indegno di ricevere amore.

JUNG

Secondo il pensiero Junghiano, nella nevrosi si cela una parte molto importante della personalità, un prezioso frammento della psiche, da cui può scaturire la creatività.
I suoi studi sulla depressione, come sulle altre nevrosi, contengono un messaggio di alta spiritualità catartica. Egli infatti afferma: “........ non dobbiamo cercare di liberarci di una nevrosi, ma piuttosto di fare esperienza di quello che significa per noi e di quello che ci insegna. Dobbiamo addirittura imparare a d esserle riconoscenti. Senza di lei avremmo potuto perdere l’occasione di apprendere chi siamo in realtà: non siamo noi a guarirla, è lei che ci guarisce”. Nei suoi “Simboli della trasformazione” egli spiega perfettamente la terribile discesa nella depressione, ma anche la luminosa possibilità di risalita: “...........se la libido rifluisce al punto d’origine, il momento è pericoloso: occorre decidere tra l’annientamento o una nuova vita. Se questa rimane impigliata nel regno del mondo interiore, l’Uomo non è più che un’ombra, è come fosse morto o gravemente malato. Ma se la libido riesce a liberarsi e a farsi strada verso l’alto si verifica il miracolo. La discesa nel mondo sotterraneo sarà stata un tuffo nella fonte di giovinezza e un nuovo impulso fecondatore si sprigionerà dalla morte apparente”.

È difficile aggiungere altre parole a queste, bellissime, di Jung.
Ne riprenderò il significato nel prossimo capitolo “Le forze nuove” (depressione e rinascita).

Le varie forme depressive

Quando si parla di sofferenza dell’anima, appare molto riduttivo applicare delle etichette ed operare suddivisioni categoriche. Ma, come sottolineava lo stesso Jung, il linguaggio diagnostico è necessario perché ha la funzione di una “scatola d’attrezzi” da utilizzare, pur essendo consapevoli dei rischi che comporta applicare formule precostituite.
L’etichettatura, oltreché arida, è limitante perché porta a perdere di vista la circolarità dell’anima, il suo mistero, che ingloba nella sua complessità tutto un mondo mitico ed archetipico, assai più ricco e complesso di ogni ragionamento clinico (Hillman - Il mito dell’analisi). Tuttavia non dobbiamo dimenticare che la differenziazione tra le varie modalità della malattia psichica è necessaria, soprattutto per indirizzare una mirata terapia. Le depressioni - con aspetti differenti l’una dall’altra - non si curano tutte allo stesso modo.
Anche gli studiosi hanno punti di vista differenti : alcuni addebitano la depressione a fattori esclusivamente psicologici, altri la ritengono dipendente solo da fattori fisici, altri ancora tengono in considerazione entrambi.

“L'approccio organicista tende a cercare cause biologiche della depressione, e giunge anche ad importanti traguardi di ricerca scientifica che cercano di far luce sui meccanismi chimici del funzionamento cerebrale. Purtroppo la conoscenza sul funzionamento del cervello e le sue implicazioni nella vita emotiva dell'uomo sono ancora ad uno stadio preliminare, e questo contrasta vivamente gli entusiasmi degli organicisti.” (Carlo Cerracchio- Psicoterapeuta carlo.cerracchio@aipep.com)”.

Anche se non si riuscirà mai a stabilire netti confini alla sofferenza della depressione, come di altre malattie mentali, tanto i sintomi si confondono tra di loro, sono state tuttavia operate tre suddivisioni di base nello studio degli stati depressivi. La tendenza attuale è comunque quella di considerare la depressione come evento che vede implicati molteplici aspetti.

Le tre grandi categorie in cui la psicopatologia diagnostica le depressioni - da modulare a loro volta in altre varietà - sono le seguenti :
endogena, reattiva e maniaco-depressiva o bipolare. All’interno di queste, si riconoscono particolari manifestazioni che vanno da stati di fortissima ansia che provoca espressioni fisiche evidenti simili ad attacchi di panico, quali contrazioni, tremori, palpitazioni; altre caratterizzate da un vero e proprio stato catatonico; altre in cui il dolore resta fisso e immutabile, altre ancora intervallate da momenti di remissione, soprattutto nelle ore serali. Più che di depressione in generale quindi, si potrebbe parlare di stati depressivi con una matrice di sofferenza comune, ma con manifestazioni differenti, che necessitano di terapie differenti che vanno dalla sola cura farmacologia alla cura abbinata farmacologia e psicanalisi, indubbiamente la più profonda e radicale. Alcuni stati poi, soprattutto di matrice reattiva, appaiono resistenti alle cure farmacologiche mentre altri, spesso di natura endogena, possono non ottenere risposte adeguate attraverso terapie psicanalitiche.

ENDOGENA

La depressione endogena si costituisce nell’essere più profondo, al di là delle contingenze esterne. Rispetto alla reattiva, viene considerata più grave. Proviene dalla psiche dell’individuo, senza cause rilevabili. Può sopravvenire improvvisamente, nell’arco di pochi giorni, senza motivi apparenti e tutto si trasforma: quello che prima appariva interessante si svuota di ogni significato, sconforto e tristezza indicibili si impadroniscono del soggetto che, disperato, incomincia la sua devastante opera di autodenigrazione e perdita di ogni riferimento alla vita.

REATTIVA

Viene considerata la forma meno grave, transitoria, che scompare quando - e se - il soggetto riesce a spostare la sua energia su un altro polo, che non sia l’ autodistruttività.
Sopravviene a seguito di uno o più eventi traumatici, che superino la soglia di tolleranza dell’Io e che frantumino i suoi meccanismi di difesa. Privo di strategie difensive, l’Io non può fare altro che consegnarsi alla disperazione, all’impotenza, all’autolesionismo.

Gli eventi traumatici che possono scatenare la depressione reattiva sono legati a situazioni di lutto, perdita, sconfitta, delusione, fallimento, abbandono, eventi che appaiono al depresso privi di ogni possibilità di riparazione.
In genere di tratta di eventi reali, ma spesso ingigantiti da uno stato personale di ansia soggiacente. Si parla infatti spesso di “depressione ansiosa”.

Il soggetto, anche se non riesce a spiegarselo razionalmente, si sente responsabile e colpevole dell'accaduto e vive all’interno di sé il dramma dell’evento come se facesse parte della sua vita.

MANIACO - DEPRESSIVA o SINDROME BIPOLARE

Secondo la definizione che ne dà Silvano Arieti nel suo Trattato di Psichiatria si tratta di “un gruppo di disturbi mentali caratterizzati da episodi periodici di melanconia e di eccitamento euforico di proporzioni piuttosto marcate, accompagnati da iperattività o rallentamento della stessa”. Si differenzia dalla depressione, che non ha eccessi maniacali, ma uno stato stabile di abbattimento. È considerata una psicosi. Nella fase maniacale, che viene psicanaliticamente considerata la negazione della depressione, la sintomatologia colpisce le stesse funzioni della fase depressiva: il pensiero, l’umore, l’azione, ma nel modo opposto. Quanto nella depressione esiste un pensiero compulsivo, fisso e vacuo, tanto nella fase euforica il pensiero si fa sfrenato, privo di inibizioni e di critica; i deliri, anziché di miseria e di catastrofe tipici della depressione, diventano di ricchezza e megalomania. L’umore, tetro e mortifero della depressione, diventa esagitato e frenetico. L’azione è convulsa, concitata, il soggetto non sente più la stanchezza, non dorme, preso da una continua ansia di muoversi, di fare.
Ma, anche in questa fase di apparente benessere, il pensiero e l’azione sono improduttivi, la idee si accavallano, le azioni si contraddicono, logica e critica sono obnubilati.
L’Io apparentemente onnipotente, è fortemente fragilizzato dietro questa maschera di ipercompensazione, e decade presto affondando nell’atteggiamento opposto: all’euforia subentra la prostrazione, all’onnipotenza l’annichilimento, alla potenza la disfatta.

Questo passaggio estremo da una fase all’altra è stato magistralmente descritto da Freud nel suo saggio “L’Io e l’Es” , in termini di lotta tra l’Io e l’Ideale dell’Io: l’euforia e l’onnipotenza trionfano quando l’Ideale dell’Io è momentaneamente assorbito dall’Es e, in qualche modo, in fusione con esso. Al contrario, nello stato di depressione, l’Io si confronta amaramente con l’ideale dell’Io e, sentendosi schiacciato di fronte alla sua inadeguatezza, perviene ad una totale perdita di stima di sé e al desiderio di autopunizione e di espiazione.
Non bisogna infatti dimenticare che, sia nel caso della sola depressione che in quello ipomaniacale, il soggetto coltiva un ideale dell’IO molto elevato ed è proprio il senso di inadeguatezza che prova nel confrontare la sua miseria con il suo Io Ideale che lo porta a provare sentimenti di indegnità e autodenigrazione.

Le forze nuove - Depressione e rinascita

Prima di entrare in argomento grafologico, non voglio concludere questa relazione senza ritornare sul significato del messaggio che l’anima trasmette attraverso la depressione.
Depressione come evento catartico perché costringe a penetrare nei recessi più misteriosi dell’inconscio, obbliga a confrontarsi con i fantasmi della psiche; spazza via, come castelli di carte, le strategie difensive, gli alibi, le stampelle, tutti pretesti per eludere la vera realtà interiore. Schiacciato da una tale deflagrazione, l’Io si frantuma, cede, muore, ma quando emerge viene vivificato da una tale forza, una tale energia, che si può ben parlare di rigenerazione e rinascita.
La depressione può essere considerata un rito d’iniziazione : è si la morte, ma non avviene per caso, avviene per portare una nascita.
Fra le tante parole spese a proposito della depressione, quelle che seguono, della psicologa e psicoterapeuta Laura Ottonello, illustrano luminosamente il messaggio di cui è apportatrice la depressione, parole da rivolgere a tutti coloro che la stanno attraversando e che pensano che la loro vita sia finita, parole a cui forse nel momento non daranno ascolto, ma alle quali ripenseranno quando usciranno dal buio:
“Lo spirito chiede alla psiche di aiutarlo e non di distruggerlo, di soggiogarlo o di accantonarlo come stranezza o follia. Entrare in dialogo con il proprio Male non solo può essere utile e funzionale ma addirittura vivificante, non tanto e non solo perché permette la ripresa del fluire della vita del singolo individuo e (forse) il superamento definitivo della sua sofferenza, ma anche perché si arriva a scoprire che, è proprio da quel male, da quel dialogo autentico, a scaturire la vita stessa. Il dialogo d'amore con l'altro si fa tutt'uno col dialogo amoroso che ogni soggetto instaura con se stesso, con i suoi lati più riposti, più oscuri e spaventosi. Anzi, lo precede.
La consapevolezza, nella sua pienezza, e il benessere che ne deriva, si costruiscono a partire da questo dialogo intimo e non vi è altra strada, né sono possibili scorciatoie facilitanti. Inutile "far finta di nulla": se la vita ci chiama a render conto di noi in quanto umani, non possiamo eludere il nostro compito esistenziale.
Quando l'anima si fa sentire - e la depressione è un urlo soffocato dell'anima - bisogna imparare umilmente ad ascoltarla. Ogni disturbo, psicologico o somatico, è un vero e proprio segnale, una sorta di faro che ha la funzione di illuminare e rimarcare un malfunzionamento del tutto.
Così, dietro uno stato vitale fortemente e cronicamente depresso può nascondersi un radicale bisogno di trasformazione che non sempre, ma spesso, si dà anche attraverso scelte di vita che vanno in altra direzione rispetto a quella che l'Io, nella sua tirannia, "ha scelto" per sé giudicandole buone per lui in modo statico e definitivo”. ( Laura Ottonello -Associazione GEA www.geagea.com)

ELEMENTI DI GRAFOLOGIA

E’ stato più volte ribadito che lo studio grafologico della depressione non intende in alcun modo formulare diagnosi né, tantomeno, sostituirsi agli specialisti. Ciononostante, il suo contributo può essere prezioso se utilizzato con umiltà e in modo corretto.
Se al grafologo è tassativamente vietato formulare diagnosi, a meno che non sia inserito in un’équipe medica, potrà però servirsi delle sue competenze per comprendere il funzionamento della psiche e risalire agli incastri che hanno determinato i conflitti, entrare nelle dinamiche psichiche fino a riconoscere i meccanismi dell’angoscia e del dolore.
Avvicinarsi alla psicopatologia, per ogni operatore, sia egli medico, psicologo, psichiatra o grafologo, significa contattare la sofferenza dell’anima che non si può delimitare poiché non ha nome.

Stabilire nette demarcazioni tra il normale, il patologico, il creativo, il delirante è impossibile e la stessa pratica medica lo dimostra. La malattia psichica non ha un aspetto definito e non presenta mai sintomi unici ed inequivocabili. Non si tratterà quindi di giudicare un caso, ma di comprendere un’anima che soffre.

Possiamo quindi capire in quale difficoltà oggettiva si trovino e quale responsabilità si assumano coloro che cercano di stabilire i confini di una malattia psichica la quale, per la sua complessità, sfugge a qualsiasi classificazione, tanto i sintomi sono confusi tra loro.
Parlando di depressione, nella sua sintomatologia possono ad esempio essere presenti deliri di persecuzione e di catastrofe simili a quelli paranoici, oppure la confusione mentale può generare stati di scissione della personalità simili a quelli della schizofrenia. Non sarà quindi importante la quantità delle nozioni analizzate, ma l’umanità con la quale verrà svolto il lavoro che avvicina alla sofferenza.

In quale modo dovrà quindi avvicinarsi il grafologo ad una scrittura che presenti segni di alterazione psichica? Dato per scontato che è l’angoscia il sottofondo comune di ogni nevrosi (e il grafologo conosce bene quali sono i segni grafici che denunciano uno stato d’angoscia, anche se risulta più difficile determinarne la gravità), bisogna subito precisare che non saranno le scritture più caotiche quelle più allarmanti.
Al contrario - e ciò vale soprattutto nei casi di depressione - è nell’automatismo, nella pietrificazione del movimento, nell’assenza del ritmo e dello slancio vitale, nel depauperamento del tratto che si nascondono le forme più gravi, quasi che il dolore diventasse incomunicabile anche soltanto attraverso un gesto di vita.
Una volta entrati in contatto con lo stato d’angoscia che pervade il grafismo, dovrà chiedersi quanto questo può essere devastante o catartico, quanta morte o, al contrario, quanta rinascita può recare.
Dovrà, di ogni scrittura, percepire il suo soffio di vita, nel suo ritmo, nelle modalità del suo tratto (flessibile o friabile? ... vitale o spento? … in accordo o in disaccordo con la forma?........); dovrà entrare nel significato simbolico della spazialità, in cui le ombre scure del nero e le schiarite del bianco possono parlare di efficienza come di angosciante urgenza (il nero), di meditazione e di spiritualità come di smarrimento e perdita di sé (il bianco).
E dovrà interpretare le scritture in modo differente da come è abituato. Alcuni gesti d’inibizione non dovranno più essere intesi come paralizzanti, ma avvertiti come intervento riparatorio e attivo da parte di una volontà che, malgrado la sua debilitazione, sta ingaggiando strenuamente le sue difese per non naufragare. E se dovrà cercare i gesti di sofferenza del grafismo, con maggiore attenzione dovrà scoprire i segni di forza, di solidità, di recupero.

Ma - ci chiediamo - “ esiste la scrittura del depresso?” La risposta è no, così come non esiste la scrittura prototipo dell’isterico, dell’ossessivo, del fobico, del tossico. “Non si trovano gli stessi segni grafici in malati della stessa malattia” ( Bastin - De Castilla , Le pscychisme et ses troubles). Questi variano a seconda della struttura interiore del soggetto, delle sue risorse individuali, della sua forza morale, delle sue reazioni e si incastrano nel gioco strategico e personale dei meccanismi difensivi che l’Io è man mano in grado di chiamare in soccorso.

Ma, se è vero che è difficile, se non impossibile, riconoscere un conclamato caso di depressione soltanto attraverso la scrittura, è altrettanto vero che sarà proprio l’espressione grafica ad introdurci nel complesso gioco interiore dell’individuo, poiché la scrittura interpreta l’anima, non soltanto i comportamenti. E cos’è la depressione se non il male dell’anima?

Qual’è dunque, concretamente, il contributo che possiamo dare noi grafologi agli studi sulla depressione?

A questo proposito vale la pena sottolineare come l’osservazione della sindrome maniaco-depressiva attraverso i segni della scrittura possa fornire alcune informazioni preziose.
Trattandosi di una periodicità di stati in cui malinconia, normalità, euforia, mania, depressione si alternano in modo variabile, le scritture prodotte durante i vari momenti registrano in modo lampante le fasi attraversate, al punto da poter prevedere una seguente caduta depressiva quando ancora lo scrivente attraversa un momento di esaltazione fittizia (è noto infatti che la scrittura registra non solo lo stato d’animo attuale ma è in grado di anticipare, con una certa attendibilità, la probabilità di rischi futuri).

Quindi se è vero che non possiamo azzardare alcuna diagnosi di depressione attraverso la sola analisi dei segni grafici, dobbiamo altresì riconoscere che ogni forma depressiva o maniacale provoca alterazioni nel grafismo che assumono significati differenti a seconda che si presentino in un contesto grafico “sano” nella sua essenza (soprattutto per quanto riguarda la qualità del tratto) per quanto danneggiato alla malattia, oppure in un contesto grafico già di per sé deteriorato (è indispensabile per valutare lo stato di salute del grafismo operare un confronto longitudinale, dalla scritture premorbose a quelle in stato depressivo).

Sarà utile tenere presente che nelle scritture la depressione endogena si manifesta soprattutto attraverso le modalità del tratto, che si presenta spento, estenuato, geneticamente e costantemente eroso.
La depressione reattiva la si può rilevare soltanto paragonando le scritture “malate” con quelle “sane” e reperire quei segni grafici restauratori di equilibrio che inducono ad ipotizzare una probabile guarigione.
La maniaco-depressiva, anche se non se ne può stabilire con esattezza la gravità, si presenta nella scrittura con gesti fortemente contraddittori, come già detto, che denunciano l’agguato della depressione (linee discendenti, affondamenti, bianco invasivo, ecc..) in un insieme tumultuoso, dai gesti frastornati e agitati a volte dalle eccessive ed eccitate ricombinazioni (vortice di associazione d’idee).

Come già osservato, forse il contributo maggiore che può offrire la grafologia nel campo delle depressioni riguarda proprio la psicosi maniaco-depressiva, o le sue forme minori (ciclotimia) in cui lo studio grafologico risulta di particolare rilievo e di prezioso ausilio clinico.
Attraverso un’attenta osservazione dei segni grafici potrà infatti essere possibile pronosticare l’insorgere di uno stato depressivo futuro, quando il soggetto vive ancora su un picco di esaltazione dell’umore: al grafologo esperto non sfuggiranno infatti i segni depressivi (caduta delle linee e onde di caduta delle parole, la spazialità compromessa, il movimento sconnesso e scoordinato, gli affondamenti delle ghirlande, il tratto intriso di bianco), in scritture amplificate, tumultuose, che si muovono vertiginosamente ma che, nella loro apparente esuberanza, sono partecipi di uno stato euforico illusorio e destinato a soccombere.

Per quanto sopra esposto, e soprattutto per la concomitanza dei sintomi in tutte le alterazioni psichiche, appare molto difficile fornire una classificazione precisa degli elementi grafici che testimoniano i casi depressivi. Tenterò comunque di studiarne alcuni aspetti nelle scritture raffrontandoli simbolicamente con alcuni sintomi espressivi tipici del depresso:

………..Nel depresso si verifica un rallentamento psico-motorio, una fissità mimica, povertà dei gesti e comportamento stereotipato...tutto ciò si riprodurrà nel grafismo, che prenderà un aspetto monotono e meccanizzato perdendo vita e slancio vitale, rimpicciolendosi, impoverendosi e fissandosi in gesti cristallizzati.

……….Nel depresso la voce perde tono e timbro, diventa opaca, spenta, stentata, il fiato esce flebilmente, a fatica......il tratto grafico (paragonato al timbro vocale) riprodurrà la stessa atonia, la stessa opacità. Come la voce, perde timbro e intonazione, si decolora per il bianco che lo penetra, si svuota di ogni fiato (soffio) vitale, perde ogni vibrazione ed elasticità.

……….Il depresso ha un rapporto angosciante con il tempo: lo sente minaccioso, interminabile, vuoto di significati e lungo, troppo lungo prima che arrivi la sera e, con essa, il rifugio nel sonno. Il suo tempo vitale non corrisponde più a quello reale, scorre in un’aurea di solitudine e di silenzio. E il tempo spaziale è compromesso nella sua scrittura: il bianco diventa dilagante, avvolgente come una spirale, si dissemina di canali, di aritmie; oppure arresta il fluire del tempo barricandosi in zone d’ombra che coprono, in un nero eccessivo che ottenebra. Qualcuno ha detto, del suo tempo di depresso: "mi sento lontano dentro."

………..Il depresso ha un portamento accasciato, cammina con le spalle curve, piegato sotto un peso insostenibile......la scrittura si raggomitola, si schiaccia e si comprime in zona media, a testimoniare l’azione di un Super-Io spietato che lo affonda verso il basso, verso l’abisso della sua “indegnità”.

………..Il depresso compie gesti lenti e ripetitivi (si dondola meccanicamente, accarezza lentamente e ossessivamente una superficie), seguendo pensieri a tendenza ossessiva, compulsivi, quasi tele di ragnatela dai cui filamenti gli è impossibile districarsi.......la forma della sua scrittura si fa ripetitiva, involutiva, spesso prende aspetti ossessivi (“m” a quattro zampette, ripetizione di sillabe ecc.), oppure si disintegra nella mollezza o si tende nella rigidità. Nei casi più gravi di allucinazioni, prende segni cabalistici (tipici della schizofrenia).

E tutti i tremori, gli smarrimenti, i trasalimenti, i vuoti, gli abbandoni, gli sprofondamenti, le angosce del depresso si traducono nella sua scrittura sotto forma di tremolii, torsioni, ammaccamenti, spasmi, tratti spezzati, omissioni di sillabe e lettere, perdite di direzione, sospensioni, affossamenti delle ghirlande, appiattimenti sulla riga.
Per quanto riguarda le linee discendenti, segno platealmente riconosciuto come depressivo, occorre fare una precisazione: se è vero che la direzione delle linee è fortemente oscillante nei depressi (ma non sempre, soprattutto in caso di scrittura sistematizzata e schiacciata in zona media), non necessariamente queste sono sempre discendenti. Le linee discendenti, come quelle concave, possono anche testimoniare soltanto un affaticamento passeggero, che il grafologo non deve interpretare come sicuro segno depressivo, ma piuttosto come un segnale d’allarme.
L’oscillazione importante delle righe è sicuramente un segno importante di ansia, al limite dell’angoscia ma, per parlare di depressione, deve inserirsi in grandi spazi vuoti, in silenzi interminabili. Spesso i segni che parlano di depressione non sono così lampanti; sono più ambigui più nascosti e simbolici, sono meno palesi ed espliciti, si traducono più nell’assenza che nella presenza di un gesto vitale.
Persino le righe ascendenti possono parlarci di depressione, se si inseriscono in un contesto depressivo. Traducono la reazione, la lotta di chi rifiuta un presente troppo angosciante e tende a reagire, a liberarsi dall’accasciamento dirigendosi verso l’alto.

Ma, nell’ottica di questa relazione in cui i contenuti invitano alla speranza, non voglio terminare senza valutare i segni catartici, quelli che ogni grafologo deve saper ricercare con cura in ogni scrittura e deve valutare attentamente, perché saranno proprio quelli a volgere la prognosi verso un esito favorevole. Il grafologo non deve mai dimenticare che si trova di fronte ad un essere sofferente più che a un caso clinico e che questo non deve essere catalogato, ma compreso nella sua dinamica insindibile.

Ogni evento depressivo dovrà essere osservato grafologicamente attraverso il raffronto tra i documenti attuali e quelli antecedenti, scritti prima dell’insorgere della depressione, in cui dovrà ricercare i segni di “salute” grafica che si traducono in gesti di “salute” psichica. Nel suo accurato studio longitudinale dovrà rivolgere particolare attenzione a :

IL TRATTO, elemento prioritario di malattia o salute psichica. Se il tratto, prima della depressione, era flessibile, fermo ed elastico, anche se durante l’episodio depressivo si potrà presentare fortemente alterato, la sua buona qualità costituzionale potrà far pronosticare un esito favorevole;

IL RITMO, se vivace e variato prima della depressione, potrà far pensare ad una vita psichica vitale e pronosticare un probabile recupero;

BUONO ACCORDO TRA FORMA E MOVIMENTO
BUON ACCORDO TRA FORMA E TRATTO

elementi di coesione della personalità che, benché momentaneamente sopraffatta, contiene in sé una buona integrità psichica. L’elasticità del grafismo, unita ad un’adeguata tonicità e fermezza e coordinata da un buon movimento, sono indice di buona saluta psichica di base.
Il grafologo dovrà confrontare le scritture “sane”, premorbose, con quelle depressive per reperire tutti quei segni di difesa compensatoria, di lotta volontaria che il soggetto ingaggia per non farsi travolgere. Sono favorevoli al recupero delle proprie forze:

Inoltre dovrà scoprire nella scrittura quei gesti volontari che mirino al riaggiustamento di una lettera, che raddrizzino un tratto quando è tremolante, che lo riunifichino quando si spezza, che completino gesti troppo poveri, che reinseriscano intenzionalmente lettere omesse (le lettere mancanti sono l’equivalente di un lapsus, definito da Freud come la “rappresentazione di un conflitto tra due tendenze inconciliabili”), tutti gesti compensatori di reazione che non permettono al soggetto di consegnarsi disarmato al suo dolore.

Ogni gesto di difesa, ogni impennata della volontà, a volte persino la rigidità, indicano un Io che, malgrado la desolazione in cui versa, è ancora in grado di opporre una resistenza per non lasciarsi naufragare e inducono ad un pronostico favorevole. Sono il segno di una lotta interiore eroica, di un coraggio mai abbandonato, anche se fortemente provato. Rappresentano le risorse di una vita che non vuole spegnersi.

Presenterò ora alcune scritture di casi depressivi conclamati

Uomo 30 anni
Il soggetto è in cura psichiatrica, con diagnosi di depressione psicotica (allucinazioni di contenuto religioso, incubi, terrore notturno).
I segni depressivi in questa scrittura sono evidenti (gracilità ed evanescenza del tratto, oscillazione e aspirazione verso il basso nella tenuta delle righe), ma purtroppo troviamo anche pesanti segni che ci parlano di un Io schizofrenico (sottolineo ancora una volta che, soltanto attraverso la scrittura e malgrado i suoi lampanti segni di perturbazione, sarebbe azzardato formulare una diagnosi; in questo caso ne siamo già in possesso attraverso gli esami psichiatrici). Il sistema grafico e logico appare alterato in tutte le sue parti, i ritmi sono tutti scompensati. L’Io schizofrenico spesso si rivela attraverso un'importante perturbazione della Forma: polimorfa, disgregata, incompiuta, accartocciata, impoverita e ripetitiva, spesso ermetica (vedi ultime righe che prendono un aspetto quasi cabalistico, frequente ricorso a lettere tipografiche maiuscole, ipostruttura). Sappiamo che la Forma, più di ogni altro genere - in quanto codice di comunicazione - denuncia la stravaganza e l'ermetismo dei disturbi schizoidi o schizofrenici, nei quali la comunicazione assume una natura enigmatica, elusiva oppure viene smarrita a causa del totale ritiro in sé. Il Ritmo è a singhiozzo, teso e molle allo stesso tempo, il Movimento è frammentato, dissociato, spezzato, automatico, non sostenuto da alcuna coesione nei legamenti, le righe sono calamitate verso il basso. L 'impostazione è a ventaglio, il margine sinistro è aggrappato al bordo. Il Tratto è flebile, etereo, ipersensibile, fragilissimo, prosciugato. le Forme sono spesso fetali, a testimoniare un Io primitivo, mentre gli slanci della barra del 't' e della 'v', che lambiscono la zona superiore senza trovare adeguato sostegno nella zona media, ci parlano di disturbi nell'ideazione, di slanci utopici.

L’impoverimento dell'Io, vuoto e affannato nello stesso tempo, ("1'Io parziale, che non ha raggiunto uno sviluppo sufficiente per possedere una sua propria, totale personalità" (R.D. Laing - "L’ Io diviso" ) è denunciato dalla povertà, dal raggomitolamento, dalla sconnessione e inquietudine delle forme. Il Ritmo spezzato riflette la dissociazione della personalità; il Tratto vacillante l'estrema fragilità, il deficit vitale. La zona inferiore non ha radici; la zona superiore sembra esiliata in un suo proprio mondo che non trova collegamenti nella realtà della zona media. Il tema generale è di spersonalizzazione, di distacco, di disgregazione e di angoscia.
L’ esame grafologico convalida la diagnosi di depressione maggiore a sfondo psicotico: il tratto è “malato” e nessun segno grafico compensatorio appare in grado di contrastare la dissociazione di tutto il grafismo.

Presento ora tre documenti che appartengono ad una donna, oggi quarantenne, di cui vedremo la scrittura attuale alle pagine seguenti:


scr. 1


scr. 2

Le prime due scritture , scritte attorno ai ventisei anni, riproducono episodi di euforia ed esaltazione che non sarà difficile cogliere grafologicamente: affanno e tumulto nel Movimento, enfasi del gesto, mulinelli vorticosi nelle ricombinazioni, affondamenti e risalite repentine, incursioni arbitrarie nelle zone, gesti all’inverso (indice di contestazione e ribellione), discordanze.
Spazialità fortemente compromessa, sia per la scompostezza del bianco, sia per l’irruzione del merlato che, in una scrittura così agitata, ci parla di fantasmi che invadono.
Ma il tratto è solido, fermo e mantiene la sua elasticità pur nei soprassalti e nella frenesia del Movimento. La Forma, per quanto scompaginata, lascia indovinare la sua qualità per via delle semplificazioni, le originalità e le ricombinazioni che, sebbene eccitate, sono pur sempre di livello.

Vediamo la scrittura seguente prodotta a pochi anni di distanza: sorprendente!


Scr. 3

L’Ideale dell’Io si è frantumato: inflazionato e onnipotente nelle prime due scritture (negazione della depressione), annientato in questa scrittura, appiattito in una zona media filiforme, strisciante, che sembra invocare stabilità nell’appoggio rasente alla riga, per non naufragare. È in atto un’importante crisi depressiva che ha convogliato potenti sensi di colpa e autodistruttività. Tuttavia gli elementi di difesa sono evidenti: sembra che le forze si siano asserragliate per non lasciarsi andare alla deriva.

Di fronte all’esame longitudinale delle scritture quale potrà essere il pronostico grafologico?
Ricerchiamo come al solito i gesti di “salute” di base della scrittura, al di là del suo deterioramento. Questi possono essere:

  • il tratto che, malgrado la scompostezza del gesto, è sempre stato in grado di accompagnarne le evoluzioni senza mai spezzarsi, mantenendo - come un acrobata - la sua flessibilità e tonicità;
  • la pressione che si rafforza in zona media in un gesto volontario di tenuta (pressione spostata di chi “vuole volere”);
  • la ricerca di stabilità sulla riga e la coesione dei legamenti, gesti intenzionali di chi lotta con tutte le sue forze
  • Il ritmo, che al di là delle sue variazioni (scomposto nelle prime scritture e vigilato nella terza), non si è spento ma riesce a mantenere vivacità.

Vediamo ora la scrittura all’uscita dalla depressione :


scr. 4

Equilibrata, seppure con una certa rigidità e con spazialità accentuata (i Meccanismi di Difesa sono ben presenti, soprattutto la Razionalizzazione). Il tratto è tonico, la forma e il movimento si sono integrati pur accordando privilegio alla forma; il merlato si è mantenuto, ma - introducendosi in forme solide e strutturate - non evoca più fantasmi, ma ci parla di capacità di elaborazione mentale. La volontà, il controllo, la lucidità (interlinee e spazio) hanno permesso alla scrivente di uscire vittoriosa.

…..segue al prossimo numero………………

fonti bibliografiche

C.G. Jung L’uomo e i suoi simboli Boringhieri
I simboli della trasformazione
S. Arieti Manuale di psichiatria (vol.1)
J. Hillman Il mito dell’analisi Adelphi
G. Abraham Saggio sull’oralità Boringhieri
S. Freud Lutto e malinconia
Al di là del principio del piacere
H. Segal Melanie Klein
J. Bergeret Depressione e stati limite P.S.E.
D. Winnicott Dal luogo delle origini R. Cortina

Per la parte grafologica

Dr. Resten Les écritures pathologiques Le François
A. Mele e M. Bolotta Dispense di psicopatologia CE.S.GRAF.
Bastin - De Castilla Le psychisme et ses troubles R. Laffont
F. Witoski Psychopatologie et écriture Masson

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